Ho visto a suo tempo molte elezioni vinte per pochi punti percentuali in più rispetto alle elezioni precedenti in un contesto politico ricco di diverse visioni ideali (ideologie), che tra conflitto e - crescente nel tempo - compromesso hanno ricostruito questo Paese, dopo che chi diceva di amarlo lo ha portato alla distruzione.
Domenica le cose sembrano andate diversamente, ma - a parer mio -nessuno può seriamente sentirsi vincitore poiché non può non sapere quanto sia effimero il consenso raccolto. Elezione dopo elezione negli ultimi anni qualcuno si avvicina al 40% dei voti e nel giro di pochi anni - troppo pochi per impostare una politica e poterne raccoglierne i frutti (o i fallimenti) - li vede dimezzarsi.
Un voto così assurdamente oscillante non può che essere conseguenza di un profondo malessere, come di qualcuno che si appiglia a qualsiasi cosa abbia a portata di mano mentre affonda nelle sabbie mobili (anche questa immagine è di altri tempi... legata alla popolarità delle avventure di Tarzan). Un malessere evidente a partire dalla curva demografica (con l'impressionante - davvero impressionante - divario crescente tra numero dei morti e numero dei nati) e dall'asfissia economica (con l'impressionante debito pubblico che abbiamo voluto e che ci toglie autonomia e montagne di risorse "bruciate" in interessi).
La malattia del Paese è seria, legata a gravi errori del passato (come la droga della fuga nel debito pubblico che oggi pesa come un macigno) e a fenomeni di livello mondiale (che hanno fatto uscire dalla povertà milioni di persone, ma ci hanno tolto di centralità). Occorre rinunciare all'idea che si possa guarire facendo i furbi o cercando scorciatoie o capri espiatori (come sta facendo l'Europa) e iniziando prima possibile una terapia condivisa e lunga.
La storia dice che ne siamo capaci, quando iniziamo?