Quando sento parlare di Piano sanitario, ho sempre una reazione istintiva: una sorta di allergia, un prurito, una voglia di tamburellar di dita, di sorridere, forse anche di ridere. Non è mancanza di rispetto: le istituzioni per me sono sacre. Però d’acchito mi vien voglia di giocarci su, con le mie pallide imitazioni di Trilussa.
So bene che il Piano sanitario è una cosa seria. Lo è, ma come si fa a discutere di un testo che “circola”? L’ho cercato sul sito della Regione, su quello dell’Agenzia regionale: non c’è. Dunque circola ma non per tutti e questo già non è buon segno per la trasparenza. Soprattutto se, come pare, entro la fine del mese sarà discusso dai decisori. Dunque devo procurarmelo fra quelli che sono lungo il percorso della “circolazione”, manco fosse un fatto privato. Privato ai più (nel senso etimologico), a quanto pare. Certo ne avevo sentito parlare, certo delle diapositive erano circolate (pure loro), certo le idee-guida erano state mostrate, ma il testo? I dati, l’analisi di essi, l’individuazione dei nodi, le priorità, i tempi, i progetti, le azioni, le risorse? A leggere quello che descrive Claudio Maffei mancano.
Non posso però giudicare, prima di aver letto e quindi, appena avrò carpito il testo, lo farò certo seguendo il metodo da lui suggerito.
Ma servirà? Io in passato mi sono “divertito” a cercare, nei Piani sanitari, i temi, le parole, le frasi non semplicemente ricorrenti ma più audacemente copiate-incollate dai precedenti: l’informatica aiuta molto in tal senso. Quindi non ho cercato le parole che non c’erano o che erano poco rappresentate come ha fatto Claudio, ma quelle reiterate. E, quindi, inutili. I tanti assessori e i molti guru che si sono succeduti negli anni passati hanno inanellato Piani, “Tavoli”, incontri, talvolta improvvisando in tutta fretta, talaltra rallentando, in altre occasioni dimenticando di aver coinvolto professionisti, gruppi, società scientifiche, sindacati, associazioni: il risultato è stato di frustrazione collettiva, per l’evidente distanza fra quanto scritto (quando il Piano fosse davvero nato) e quanto accadeva nella realtà quotidiana.
Il paradosso è che mentre esistono conoscenze consolidate, montagne di esperienze, competenze disponibili queste non sono usate. Solo io personalmente ho frequentato master di Programmazione e Gestione dei Servizi sanitari già dal 1990 (era coordinato dal Ricciardi recentemente dimessosi dall’ISS), poi per diventare auditor ISO-9000, corsi del CEPAS, Corsi in Emilia Romagna per acquisire competenze nell’accreditamento istituzionale, del GIMBE ed altro ancora, ho lavorato per l’Accreditamento volontario all’eccellenza nel 2001 per la Cardiologia di Camerino (ottenuto): tutto già noto e tutto fattibile. E molti altri nelle Marche più e meglio di me hanno studiato, elaborato, sperimentato. Ma quella distanza fra quanto scritto nei Piani e quanto fatto davvero è rimasta intatta.
Mi permetto di avanzare un’ipotesi: è la stessa distanza che c’è stata fra chi sa e sa fare (ce ne sono molti) e chi “briga”, incontra nei corridoi, privilegia i conoscenti, si fa abbacinare dagli imbonitori, presta orecchio ai portatori dei (propri) interessi e poi, disgraziatamente, decide. Allora il punto è spezzare questa catena (anche se nessuno di noi è Ercole), comprendere se nella Regione (l’attuale o la prossima legislatura ormai non lontana) esistano finalmente orecchie, cuori e soprattutto menti capaci di imparare dagli errori passati. Che, detto in modo esplicito, significa coinvolgere nella elaborazione della futura sanità marchigiana, non gli amici degli amici, non i mediocri cortigiani ma i veri competenti e soprattutto i cittadini (insisto: i proprietari del sistema) nelle loro varie forme associative.