Ieri mattina, il giorno del suo 58esimo compleanno, Massimo Boemi è stato trovato senza vita nella sua abitazione ad Ancona. Difficile usare per iniziare questo suo ricordo parole diverse da quelle “standard” che gli organi di informazione locali hanno cominciato a pubblicare già dalla fine della mattinata di questo bruttissimo 27 dicembre 2017.
Ma parlare di Massimo, come persona e come professionista, ti fa subito uscire dalla dimensione delle parole di circostanza. Perché Massimo, se lo hai conosciuto, lo puoi ricordare solo come una persona speciale.
Qualche informazione minima sulla sua storia professionale, che è quella per cui lo ricordiamo qui in questa nostra “cosa” sulla sanità marchigiana (e quindi sugli uomini e sulle donne che la fanno e la utilizzano). Massimo Boemi ha dedicato la sua vita alla diabetologia ed all’INRCA, dove ha trascorso la totalità della sua esperienza professionale. Dal 2012 era il direttore della struttura complessa di Malattie Metaboliche e Diabetologia / Centro Antidiabetico.
La diabetologia all’INRCA ha una lunga storia e tradizione, tanto che il maestro di Massimo, il collega Paolo Fumelli, costantemente invitato alle tante iniziative nella nostra regione sulla malattia diabetica, a volte ricorda scherzosamente come non siano stati lui e i suoi collaboratori all’INRCA a “inventare” il diabete. Ma certo l’INRCA ha dato una grande contributo alla nascita della diabetologia e della rete diabetologica delle Marche. La rete poi si è espansa, sono nati altri importanti punti di riferimento, come quello oggi ASUR di San Benedetto del Tronto, ed è diventata una delle prime reti cliniche vere della Regione, sostenuta da una legislazione ad hoc aggiornata qualche anno fa.
Una caratteristica che ho sempre apprezzato della rete diabetologica delle Marche è stata la sua natura di comunità professionale, con un forte grado di coesione interna, che le nome regionali hanno favorito, ma non potevano certo “forzare”. In questa comunità Massimo faceva molto bene la sua parte promuovendo iniziative sia di livello sovraregionale, che regionale e locale. Così come la sua parte Massimo l’ha fatta bene dentro la comunità professionale dell’INRCA. Nel suo curriculum figurano, infatti, esperienze significative nelle due dimensioni della assistenza e della ricerca, che in un Istituto a carattere scientifico come l’INRCA debbono tendere ad essere una dimensione sola.
Della assistenza ai pazienti con malattia diabetica Massimo era interprete “moderno” come testimoniato dalla sua attenzione al rapporto con i medici di medicina generale, con le altre professioni e, soprattutto, con i pazienti e le loro Associazioni. Se c’è una malattia che richiede multidisciplinarietà e multiprofessionalità da una parte e centralità del pazienti e dei suoi familiari dall'altra questa è il diabete. E questo Massimo lo sapeva e lo “praticava”.
Sono andato a rileggere il suo curriculum. Massimo si attribuiva una propensione al lavoro in team ed all’ascolto. Vero, verissimo. Ed io di questa propensione all’ascolto posso dare testimonianza personale. Uno dei miei crucci professionali era che forse all’INRCA non capivo gli umori dei miei colleghi e non riuscivo a parlare loro con il linguaggio giusto. Ed è a Massimo che chiedevo un parere (e qualche volta conforto). E Massimo mi ascoltava, non per semplice gioco dei ruoli, ma per genuina attitudine personale. Come aveva scritto nel curriculum.
E infine due ricordi tra i tanti. Massimo che in una splendida giornata di sole di metà maggio 2012 ospita la direzione e qualche collega al Lazaretto per un pranzo in onore della sua appena iniziata carriera di primario. E Massimo con un cappello da Babbo Natale (portato anche da alcuni infermieri del centro antidiabetico) in uno dei saluti natalizi all’Auditorium della Montagnola.
Qualche Natale dopo Massimo ci lascia questo suo ricordo. E molto altro.
Ciao Massimo e grazie.