Inauguriamo oggi una nuova modalità di presentazione degli articoli: le interviste. Ci piace l’idea di far parlare chi ha idee ed esperienze da condividere. E nella nostra Regione di persone e gruppi che hanno qualcosa da dire ce ne sono un’infinità.
Cercheremo di scegliere quelle testimonianze che portano un approccio nuovo ad una problematica rilevante di sanità pubblica. Per ogni intervista diremoprima chi parla, di cosa parla e perché ne vogliamo parlare. Cominciamo.
Chi: Francesca Sorvillo, dirigente medico della geriatria delle sede INRCA di Fermo.
Cosa: la palliazione in ambito geriatrico.
Perché: è un problema che merita una attenzione specifica che porta la cultura della palliazione al di fuori dei campi in cui si è consolidata anche organizzativamente (oncologia).
Esiste un problema di palliazione geriatrica e se c'è è diffuso?
Il problema c’è ed è sicuramente diffuso: nei Paesi con sistemi sanitari sviluppati, Italia compresa, un consistente numero di pazienti anziani continua ancora a morire in ospedale. Infatti, la maggior parte degli anziani, in genere affetti da malattie croniche-degenerative (demenza, BPCO, scompenso cardiaco e altre insufficienze d’organo in fase finale), sperimenta ripetuti ricoveri in ospedale nell’ultimo anno di vita e nel corso della degenza non sempre vengono identificati come pazienti “terminali”. Il rischio è quello di un’assistenza sproporzionata, di un’elevata e inappropriata intensità di cure distante dai loro reali bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali. Inoltre, il mancato riconoscimento e l’inadeguata gestione dei sintomi che interferiscono negativamente sulla qualità della vita, si associa al discomfort procurato dalle stesse procedure diagnostico-terapeutiche che caratterizzano l’ospedalizzazione, la maggior parte delle quali risultano futili perché non modificano la prognosi.
Gli Hospice sono una possibile risposta o tutte le strutture (in particolare ospedaliere) che si occupano di anziani dovrebbero avere una propria politica al riguardo?
Gli Hospice rappresentano il modello di riferimento su come gestire la fase finale della vita qualora i sintomi che pesano fortemente sulla qualità della vita siano di difficile controllo a domicilio. Mi riferisco a sintomi quali il dolore, la dispnea, la depressione, il vomito e in genere i disturbi gastrointestinali. Può avere la sua indicazione per sollevare temporaneamente la famiglia dall’elevato carico assistenziale. Ma non sono in grado di assistere tutti i candidati ad un percorso palliativo. E allora tale modello, a mio avviso, potrebbe essere traslato e adattato ad altri contesti sanitari (ospedali, RSA, Cure intermedie) che si occupano di anziani nella fase finale della vita.
Tu hai fatto una esperienza all'INRCA di Fermo: puoi descriverla?
Nel 2012 si è costituito all’INRCA un gruppo di studio multidisciplinare sul tema della Palliazione Geriatrica. Sulla base dell’analisi della letteratura sono stati definiti i criteri per identificare in ospedale i pazienti geriatrici bisognosi di cure palliative. E’ stata avviata una sperimentazione preliminare della metodologia di riconoscimento dei pazienti bisognosi di cure palliative condivisa dal gruppo ed è stata analizzata retrospettivamente l’assistenza medica ed infermieristica che i pazienti così identificati avevano ricevuto. In particolare, sono stati monitorate e riviste l’applicazione di procedure invasive o ad elevato discomfort, l’appropriatezza della terapia farmacologica ed il supporto psico-spirituale al paziente ed alla famiglia.
Durante la sperimentazione della metodologia e l'annesso studio retrospettivo i criteri utilizzati hanno permesso di riconoscere che un terzo dei pazienti ricoverati nel reparto di Geriatria erano bisognosi di cure palliative e di questi la metà era affetto da demenza in fase finale. Il 30% era deceduto durante la degenza, mentre i restanti entro l’anno dalla dimissione.
Ogni paziente era stato sottoposto in media a tre procedure invasive (tra impianto di Catetere Venoso Centrale, posizionamento di Sondino Naso Gastrico, alimentazione parenterale, endoscopie, emogas-analisi, paracentesi, contenzione). Tali procedure, comuni nella cura di malati fortemente compromessi, in un paziente terminale possono configurarsi come un eccesso di cure oltre a determinare un elevato disagio per il malato.
I pazienti assumevano in media 8.3 farmaci ciascuno, alcuni anche più di 10 farmaci. L’82.4% dei pazienti era stato sottoposto a trattamenti farmacologici definiti raramente appropriati e mai appropriati secondo la classificazione di Holmes di adeguatezza delle prescrizioni.
A queste osservazioni ha fatto seguito la costruzione di una procedura operativa aziendale all’interno del reparto di Geriatria dell’INRCA di Fermo che prevede l’utilizzo dei criteri anzidetti per il riconoscimento dei pazienti bisognosi di cure palliative, l’avvio di un percorso caratterizzato dai seguenti elementi: la condivisione del piano di cure con il malato, quando cognitivamente pertinente e la sua famiglia, soprattutto riguardo a quelle pratiche diagnostiche terapeutiche che sono al limite dell’eccesso di cura; l’indagine sociale per una tempestiva dimissione protetta; un programma di educazione del familiare-caregiver per il sostegno all’assistenza del malato; disponibilità ad un supporto di tipo psicologico e religioso e, infine, viene agevolata la presenza di membri di associazioni di volontariato in reparto.
Cosa pensi di avere imparato da questa esperienza e cosa suggeriresti di fare ed a chi?
Sicuramente ho imparato tante cose: che l’approccio palliativo condivide con quello geriatrico la finalità della migliore qualità di vita possibile per il malato (un approccio cioè rivolto al malato più che alla malattia; to care anziché to cure); che va centrato sul paziente e gestito con una modalità di tipo multidisciplinare, rispettosa per il malato e la sua famiglia perché tiene conto dell’orientamento e delle volontà dell’individuo; che sono importanti forme di sostegno (psicologiche o educative); che è in linea con l’appropriatezza prescrittiva di farmaci e interventi e che può prevenire anche ospedalizzazioni improprie o altre risposte inadeguate (come può essere l’accesso in Pronto soccorso di un malato terminale).
Il ruolo della formazione in questi percorsi è importante?
La formazione nella nostra esperienza è importantissima per allineare i vari operatori che ruotano intorno al malato ad una visione comune di gestione del paziente, per incrementare alcune competenze, soprattutto di tipo comunicativo, ancora troppo carenti nei curriculum formativi universitari, oltre che per attivare modalità specifiche di gestione del paziente bisognoso di cure palliative all’interno del setting in cui si opera.
Grazie Francesca
Commento "editoriale". Un diverso approccio al fine vita è ormai un tema all'ordine del giorno di tutta la società. Su questo tema sul campo nella vita professionale di tutti i giorni si può fare qualcosa di moderno e antico allo stesso tempo: una assistenza sobria, rispettosa e giusta. Questa intervista ce ne ha offerto un esempio.