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Winston Churchill diceva: “per quanto sia bella la strategia dovresti ogni tanto guardare ai risultati”.
Ma perché vi è un disegno strategico per la sanità pubblica del futuro? Vi è una pianificazione / costruzione trasparente, anche nel senso di partecipata, di quello che sarà il servizio sanitario pubblico del futuro? La risposta è no o meglio nulla ci è dato sapere, almeno in maniera chiara.

Pensiamo alla Regione Marche, alla ormai “cronica” mancanza del piano sanitario e socio-sanitario regionale: l’ultimo, in vigore, è scaduto nel 2014.
Tuttavia, è fatto notorio che, pur in assenza di un piano sanitario regionale, sia in atto qui nelle Marche (volenti o nolenti) una vera e propria riforma sanitaria, che ha visto, tra le altre cose, la chiusura dei cosiddetti piccoli ospedali poi trasformati dal 1 gennaio del 2017 in ospedali di comunità (trasformazione ancora per la maggior parte su carta), la chiusura di interi reparti, la nascita delle cure intermedie e connessi posti letto, insomma un cambiamento, talvolta radicale, della assistenza sanitaria, specie di quella territoriale, che ha generato non pochi problemi per noi utenti del servizio sanitario regionale, soprattutto sull’accesso alle cure.

Ma perché è così importante la pianificazione, specie nell’ambito dei servizi sanitari e socio-sanitari, perché è così importante disporre e quindi operare in forza di un piano sanitario regionale? Perché è un adempimento normativo: non basta. Per la complessità del sistema sanitario e socio-sanitario: non solo.
La pianificazione è un metodo corretto, efficace e trasparente di procedere nella programmazione e nella organizzazione, anche strategica, del sistema sanitario e socio-sanitario ma al contempo anche strumento privilegiato di monitoraggio e verifica continua dei risultati, consentendo, pertanto, di intervenire in maniera mirata e magari di “cambiare rotta” nel caso i risultati siano contrari alle finalità, meglio agli obiettivi che ci si era prefissi di raggiungere con la pianificazione.
Insomma, la pianificazione è anche e soprattutto strumento di controllo, con il derivato effetto che la mancanza di un piano sanitario rende ancor più difficoltoso e sicuramente meno trasparente comprendere quale sia la “rotta” intrapresa.

A questo punto, pertanto, a quasi 4 anni dall’ultimo piano sanitario regionale, ci si domanda se può ritenersi strategica la non pianificazione.
Ci può essere, cioè, una strategia nella decisione di continuare a gestire o meglio a riformare l’assistenza sanitaria regionale in assenza, a monte, di un piano sanitario?
Lasciamo la risposta a chi avrà la bontà di leggere ma alcuni spunti di riflessione sono d’obbligo.
Come detto, il non disporre di un piano sanitario limita, e non poco, il “controllo diffuso”, nel senso di partecipato anche dal basso, di quello che si sta facendo e soprattutto di dove si sta andando.
Eppure lo strumento della programmazione è importante perché orienta o quanto meno dovrebbe orientare il sistema sanitario verso prestazioni appropriate, di qualità, economicamente sostenibili e comunque sempre rispondenti ai bisogni effettivi di salute delle persone, all’interno, in specie, della cornice dei cosiddetti livelli essenziali di assistenza.
E così, nella mancanza di un piano sanitario regionale, non ci resta, a noi cittadini, che assistere a tante piccole o grandi modifiche nell’erogazione dei servizi sanitari ovvero subirne le conseguenze, però con ogni derivato diritto di opposizione da parte nostra quando la cessazione di un servizio diventa negazione del diritto alla salute, a ricevere le cure.
I dati del XX rapporto PIT salute del Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva ci dicono che per le persone il servizio sanitario pubblico è e resta la prima scelta, talora obbligatoria, vista l’impossibilità di accedere alla assistenza privata, ma comunque sempre più inaccessibile vuoi per i costi del ticket (super-ticket) per le lunghe liste di attesa, per la mancanza o per la cessazione di servizi, specie di quelli sul territorio.

E se questi sono i risultati quale sarà la strategia che governa ciò? Quella del continuare a decidere e ad agire in assenza di qualsivoglia pianificazione?

Non crediamo che questa sia la strada giusta, tenuto conto anche del continuo definanziamento del servizio sanitario nazionale che sta minando, in maniera seria, alla sostenibilità del medesimo.
La strada giusta è e resta quella di garantire il diritto alle cure attraverso anche la costruzione di un piano sanitario regionale partecipato, frutto cioè del lavoro congiunto e condiviso di tutti, operatori sanitari e cittadini ovviamente compresi: noi ci siamo. Le Istituzioni?

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