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I giornali di domenica 20 gennaio 2018, erano pieni di articoli e commenti sgomenti sulle promesse elettorali (del centro destra, in particolare) definite nel commento più elegante velleitarie. Nelle stesse pagine ricorre ancora spesso il termine di fake news (occorre tradurlo? Sono le bufale, informazioni volutamente distorte e fuorvianti).

In una conferenza stampa e in dichiarazioni pubbliche di una decina di giorni fa il presidente Ceriscioli con delega alla sanità ha fatto alcune importanti dichiarazioni così sintetizzabili: il consuntivo 2017 è buono, in epoca di fake news bisogna dimostrare i propri risultati coi dati (figuriamoci se non siamo d’accordo), i dati  dimostrano in effetti la bontà dei risultati, chi contesta quei dati non tiene conto della professionalità con cui sono stati elaborati.   Quanto al Piano ci si lavorerà nei primi mesi dell’anno (il titolo dell’articolo parlava di Piano sociosanitario entro sei mesi). Conseguenza: non ci sono motivi di cambiare l’assetto dirigenziale.

Proprio perché importanti ed autorevoli queste dichiarazioni meritano un commento meditato.

Fake news e dati della sanità marchigiana.
I dati presentati non sono bufale, sono elaborati e presentati in modo tecnicamente adeguato, ma hanno grossi problemi non casuali:

  1. derivano per lo più da flussi informativi che la Regione dovrebbe restituire sotto forma di report e di documenti di commento che la Regione non mette a disposizione (e questo è di per sé grave) quando quei dati dovrebbero essere la base condivisa dei processi decisionali più importanti;

  2. coprono bene certe aree e ne lasciano  scoperte o poco approfondite altre in cui ci sono evidenti criticità (due esempi che facciamo sempre con dati da report nazionali riguardano i servizi per la tutela della salute mentale e l’assistenza domiciliare);

  3. vanno più orientati alla ricerca e all'approfondimento delle criticità e quindi all’avvio di percorsi di analisi, riprogettazione e verifica.

Il Piano sociosanitario.  Effettivamente  si potrebbe approvare in sei mesi se si scegliesse  la strada seguita di recente dalla Regione Emilia-Romagna (Ma perché non copiamo da quel  secchione del compagno di banco e non torniamo indietro di qualche anno?) di: 

  1. approvare prima (i famosi sei mesi) dopo una consultazione con i vari portatori di interesse ed una analisi della storia e del contesto, un Piano di orientamento politico-culturale-organizzativo che evidenzi e descriva nel dettaglio le principali linee di evoluzione del piano stesso (ovviamente coerenti con l’impostazione già propria della Regione), che nel caso della Regione Emilia-Romagna  prevedono ad esempio la valorizzazione del ruolo del distretto nella redazione dei piani attuativi locali (risulta a qualcuno che nelle Marche si stia andando nella stessa strada?);

  2. approvare subito dopo le schede relative alle linee di intervento (39, nel caso specifico della Regione Emilia-Romagna ) con una declinazione di dettaglio per ciascuna scheda di: descrizione, azioni da sviluppare, beneficiari, elementi di trasversalità/integrazione e indicatori;

  3. reggere con la propria organizzazione questo percorso che dovrebbe portare ai piani attuativi locali (chi li farà?). 

Se si comprende la complessità del processo (ben diverso da un tradizionale , e semplice, recepimento di atti di indirizzo nazionale) forse si possono dare tempi credibili articolati per fase.

Da ultimo: conferma dei dirigenti.  Nulla da dire. Questa valutazione è di chi governa la sanità e definisce gli obiettivi ed i metodi scelti per raggiungerli. A chi in sanità lavora e da chi dalla sanità si aspetta servizi importa che gli obiettivi rispetto ad oggi siano meglio e più completamente definiti e meglio e in modo più trasparente monitorati.

Il piano può non essere una promessa velleitaria. Può.

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