Ogni tanto escono comunicati stampa, e successivi articoli, sullo stato dei servizi sanitari della Regione Marche. A volte, quando è l’attuale Giunta a farli, si dichiara la nostra sanità eccellente, in altri casi in cui la fonte del comunicato stampa è diverso - come nel caso recente dei sindacati - le valutazioni sono molto più critiche. Cerchiamo di capire dove sta la ragione, se sta da qualche parte. E facciamolo sotto forma di intervista.
Come si fa a misurare la qualità o, come si dice spesso, la performance di un sistema sanitario regionale?
Ci sono una serie di Istituzioni, Enti e Centri Studi della più diversa natura che cercano di misurare e confrontare la qualità dei diversi sistemi sanitari delle varie Regioni Italiane. Perché la sanità, purtroppo, cambia molto da una Regione all’altra. Le modalità con cui vengono condotte queste valutazioni sono differenti, ma di solito utilizzano dei dati rilevati per obbligo ministeriale che vengono trasformati in un indicatore (di solito un rapporto) che misura un fenomeno che ha a che vedere con la qualità dei servizi. Un po’ come si fa quando si fa la graduatoria delle città in cui si vive meglio. Un paio di esempi di misure che si usano in sanità: i tempi con cui i cittadini vengono visti e gestiti in un Pronto Soccorso e la proporzione di anziani che ricevono una assistenza a livello domiciliare. Ogni sistema di valutazione usa un proprio repertorio di indicatori che cerca di esplorare tutti i campi della sanità dalla salute mentale alla prevenzione, dal consumo di farmaci alla copertura vaccinale, ecc.
Quali sono le analisi più affidabili ed importanti?
Sicuramente la più importante è quella del Ministero della Salute che ha carattere ufficiale. I risultati sono scaricabili dal sito del Ministero e sono utilizzati dalla Corte dei Conti in sede di verifica annuale del coordinamento della finanza pubblica. Il Ministero elabora diverse decine di indicatori su tutti gli ambiti assistenziali (dalla prevenzione all’ospedale) e consente anche di avere una sorta di punteggio sintetico finale. In gergo tecnico questo sistema di indicatori è quello della “griglia LEA” essendo utilizzato per valutare il livello di erogazione dei livelli essenziali di assistenza (appunto LEA) da parte delle Regioni.
E in questa analisi ministeriale le Marche come vanno?
La Corte dei Conti ha appena pubblicato il suo Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica con i dati degli indicatori ministeriali aggiornati al 2016. Le Marche risultano all’ottavo posto con 192 punti, mentre nel 2015 era al settimo con 190 punti. La prima è il Veneto con 209 punti seguito dalla Toscana (208), Piemonte (207) ed Emilia-Romagna (205). In questa classifica mancano le due Province autonome di Trento e Bolzano, oltre a Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia. Tutte realtà territoriali che hanno buoni livelli di assistenza e ci potrebbero stare davanti, ma godendo di autonomia non vengono valutate dal Ministero.
Quali sono le altre valutazioni delle sanità Regionali che godono di maggior credito?
Un sistema importante è quello della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. E’ un sistema volontario cui partecipano diverse Regioni; oltre alle Marche ci sono tra le altre la Lombardia, il Veneto, la Toscana e l’Umbria. In questo sistema (gli ultimi dati risalgono al 2017 e sono scaricabili da parte di chiunque previa registrazione al sito) non c’è un “voto” sintetico finale, ma ci sono rappresentazioni grafiche che fanno capire come stanno messi i servizi delle varie Regioni. Le più note sono dei bersagli con cinque zone di colore diverso dal centro (verde scuro) alla periferia (rosso) che fanno capire per i diversi aspetti presi in esame come vanno le diverse Regioni. Se il valore dell’indicatore finisce sul rosso (per le Marche succede diverse volte) non va bene e occorre intervenire. I dati del Sant’Anna sono stati di recente commentati in due comunicati stampa prima dai sindacati CGIL CISL e UIL (criticamente) e poi dal dott. Volpini, Presidente delle Commissione Consiliare che nelle Marche si occupa di sanità (positivamente). Se uno guarda il bersaglio delle Marche, vede gli “indicatori” rossi o comunque lontani dal centro e lo confronta con quello delle altre Regioni non può che essere critico. Certo la situazione dal 2016 al 2017 è migliorata, come ha ricordato il dott. Volpini, ma le criticità rimangono tante e sono più numerose ed importanti di quelle di altre Regioni del Nord (al solito Toscana, Veneto, ecc).
Ci sono altri sistemi di valutazione e cosa ci dicono?
Ce ne sono diversi altri, a partire da quello dello Studio Ambrosetti (The European House-Ambrosetti) che ha pubblicato nel 2017 il suo ultimo report dal titolo “Meridiano Sanità Le coordinate della salute” in cui ha fatto una valutazione della performance delle diverse regioni italiane. In particolare ha calcolato un Indice dello Stato di Salute, per cui le Marche sono risultate al nono posto, e un Indice del Mantenimento dello Stato di salute in cui le Marche sono risultate al dodicesimo posto. E’ di recente uscita poi la sesta edizione 2018 della valutazione del livello di tutela della salute a livello regionale del CREA, (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in sanità promosso dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata). In questa valutazione le Marche sono risultate di nuovo al nono posto.
In una sola classifica le Marche figurano al terzo posto ed è quella che fa il Ministero per individuare le Regioni cosiddette “benchmark”, quelle in cui il rapporto qualità / costi appare migliore in base ad una serie di indicatori. In questa valutazione pesa particolarmente il dato economico che nelle Marche è stato particolarmente buono negli ultimi anni.
Ma è possibile fare una sintesi di tutti questi dati utile per i cittadini e per chi vuole farsi una idea di come sta messa e come è governata la sanità delle Marche?
A mio parere sì. Le Marche sono come quello studente o quella studentessa ai cui genitori gli insegnanti dicono che potrebbe fare di più e che la pagella purtroppo risente di questo mancato impegno. L’impegno che non è, perlomeno ad oggi, sufficiente è quello della politica regionale che non analizza a fondo i dati, non li discute e non progetta il loro miglioramento. I dati dicono infatti (queste che sto per ricordare sono alcune criticità scelte tra le più significative) che c’è una forte carenza dei servizi territoriali (scarsa offerta di servizi domiciliari e basso livello di integrazione socio-sanitaria) con una carenza particolarmente accentuata nell’area della salute mentale, un sottofinanziamento delle attività di prevenzione, un eccesso di spesa farmaceutica e un saldo negativo di mobilità importante per l’attività di ricovero con molti più marchigiani che vanno a ricoverarsi fuori Regione rispetto ai non marchigiani che scelgono di farsi curare negli ospedali delle Marche, specie pubblici. Come conseguenza della inadeguata risposta territoriale i Servizi di Pronto Soccorso della Regione sono poi in una situazione di grande grave difficoltà. Tutte cose che i dati dicono. E di criticità ne emergono anche molte altre, ma per oggi ci basta smorzare i toni ingiustificatamente ottimistici ed autoreferenziali con cui la Regione spesso descrive la sua (in realtà nostra) sanità.
E cosa occorre per migliorare la situazione?
Occorrono molte cose, alcune delle quali dipendono dal governo centrale nazionale, come un maggior finanziamento della sanità. Ma a mio parere il punto di partenza è quello di sviluppare nelle Marche a livello del governo regionale una cultura del dato e del confronto. Ma nella sua apparente banalità è una scelta che la Regione non sembra voler fare. Il ridimensionamento del ruolo della Agenzia Regionale Sanitaria e il notevole ritardo nel percorso del nuovo Piano Socio Sanitario testimoniano quanta resistenza ci sia in Regione all’approfondimento e al successivo confronto. Una lettura ottimistica dei dati dei sistemi di valutazione -è appena stato detto- non serve. Servirebbe molto di più usare le indicazioni che derivano da questi sistemi per affrontare in modo condiviso ed aperto le criticità che oggi sia i cittadini che gli operatori da una parte vivono e dall’altra vorrebbero contribuire ad affrontare. La sanità non può essere quella dei comunicati stampa. Non più.