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Tante volte siamo tornati su questo blog sul tema della mobilità sanitaria: è certamente un problema per il nostro sistema sanitario regionale. Da una parte segnala la necessità per i cittadini di cercare risposte lontano e dall'altra sottrae risorse allo sviluppo delle nostre strutture sanitarie (e quindi toglie anche lavoro). Occorre comunque fare attenzione e analizzare bene il fenomeno perchè esistono aspetti di tipo "geografico"  per cui per un pesarese andare a Rimini non costituisce un disagio particolare (mentre resta un disagio il viaggio della speranza in un centro oncologico in Lombardia). 

Leggere la mobilità come un unico calderone ha un effetto negativo grave: innescare una concorrenza tra Regioni, che, sino a prova del contrario, fanno capo ad un unico stato... l'Italia. Per questo la Legge di stabilità 2016 (comme 576)  ha previsto che le Regioni  stipulino accordi bilaterali di confine per il governo della mobilità sanitaria: le Regioni devono sedersi ad un tavolo comune per governare i flussi e non farsi concorrenza  (duplicando servizi o funzioni, se non peggio alimentando, fuori programmazione, la produzione del privato). Questo era del resto stato previsto sin dal Patto per la salute 2010-2012. Esiste anche un testo base approvato dalle Regioni per la definizione  degli accordi di confine il cui principio base è mettere tetti economici agli scambi per prestazioni di ricovero ed ambulatoriali di bassa complessità. 

La definizione di accordi di confine comporta un ragionamento comune, una programmazione coordinata e quindi un netto miglioramento dei servizi per i cittadini (che possono usufruire del centro migliore per il loro problema senza i riflessi negativi dell'inesistente confine tra regioni!).

Ad esempio, prima di costruire un ospedale nuovo e fantasticare delle meravigliose discipline da collocarci, un franco confronto con i programmi dei vicini sembrerebbe imprescindibile per evitare un sottoutilizzo delle proprie strutture ... Ma analoga considerazione vale anche per gli accordi con le strutture private cui si rischia di concedere posti letto e budget per i residenti fuori regione senza tenere conto che le regioni di provenienza potrebbero o rendersi autonome o contestare questa aggressività su attività di bassa complessità. E la Regione Marche, specie nei confronti della Regione Abruzzo, di questa criticità non ha tenuto conto nei suoi accordi con i privati.

Ma allora perché gli accordi di confine non si fanno?

In larga misura, non per strane macchinazioni delle strutture private, che in mancanza di accordi trattano i residenti delle altre regioni come terra di conquista (con flussi economici spesso a 6 zeri...), ma per una irrazionale arroganza che è propria delle organizzazioni (a dispetto del naturale riflesso alla collaborazione che abbiamo individualmente nei geni): la Regione che telefona per prima non può che sembrare debole rispetto all'altra! Chi telefona dunque... nessuno! 

Naturalmente la storia di questa Regione, che ha una medaglia speciale in questo ambito avendo tra le prime stipulato a suo tempo già nella seconda metà degli anni 2000 più accordi di confine, dimostra che si può essere umili e servire l'interesse generale con una visione limpida degli scopi del sistema. Ma che non sia facile dare continuità a questo atteggiamento lo dimostra la storia dei nostri (peraltro complessivamente vantaggiosissimi) accordi di confine. In pratica: nessun accordo attualmente vigente.  

Ma torniamo al titolo:
quale organizzazione consentirebbe mai a delle sue articolazioni di farsi la concorrenza incrementando i costi e rischiando di far  scadere la qualità dei servizi (che sono legati ai volumi di attività) moltiplicando i punti di erogazione e spostandoli in parte fuori controllo da parte di chi li utilizza (come avviene in caso di servizi sanitari collocati fuori Regione)?

Ma come è noto, le scadenze sono perentorie per i cittadini (e scattano sanzioni), mentre per le articolazioni dello Stato hanno valore ordinatorio...
...e tutto resta come prima con buona pace del Legge di stabilità 2016 e del Patto per la Salute 2010-2012

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