La riabilitazione è (parere mio) un mondo dentro al quale ormai si muove un insieme di aree specialistiche di attività che dentro una filosofia generale comune hanno però caratteristiche specifiche di cui conviene tener conto. Un po’ come l’area della medicina e quella della chirurgia. In definitiva anche nella riabilitazione vale nelle diverse linee di attività il principio del rapporto volume/esiti: più è ampia la tua casistica, più diventi competente e migliori risultati ottieni.
Tra le aree specialistiche della riabilitazione c’è quella della riabilitazione respiratoria. Nel Rapporto SDO 2017 del Ministero della Salute ci sono al riguardo dati interessanti. Le malattie respiratorie sono al quarto posto con oltre 16.000 dimissioni tra le cause di ricovero ordinario nei reparti di riabilitazione, dopo le patologie osteo-muscolari (145.000), quelle neurologiche (72.000) e quelle dell’apparato cardiocircolatorio (45.000).
In alcune Regioni si sono sviluppate interessanti esperienze di organizzazione specialistica delle attività di riabilitazione pneumologica ed una tra queste ho avuto modo di conoscerla da vicino. Si tratta dell’esperienza del Presidio INRCA (sì, del “nostro” INRCA) di Casatenovo con sede in Lombardia e più precisamente in Provincia di Lecco. Qui opera una struttura monospecialistica dedita appunto alle attività di area pneumologica, una delle quali è proprio la riabilitazione respiratoria.
Per molti anni la struttura è stata diretta da un carissimo collega ed amico, Enrico Guffanti, da poco tempo anche lui in pensione. Ho pensato di fargli una intervista in modo da avere una sintesi di quello che gli ha insegnato la sua esperienza in tema di riabilitazione respiratoria. Sintesi da confrontare con la attuale realtà della riabilitazione marchigiana in cui solo adesso comincia a “fare capolino” una organizzazione dedicata alla riabilitazione respiratoria. Ad esempio, nel sito dell’Istituto Santo Stefano compare una “scheda” relativa alla riabilitazione pneumologica, testimonianza di una attenzione alla specificità del settore, seppur non ancora in forma autonomamente strutturata. Forse sono maturi i tempi per creare poli espliciti di riferimento per questo tipo di trattamenti riabilitativi dentro una più generale rete pneumologica. Come già detto, sono convinto che il principio della caratterizzazione specialistica dei vari punti di erogazione delle attività, principio ormai “passato” in area chirurgica, debba entrare anche nella offerta riabilitativa.
Non sono molti ad avere in questo ambito la passione e l’esperienza di Enrico per cui è il momento di partire con le domande. A proposito: invito a leggere dopo l'intervista (o ancora meglio, già che ci siete, prima) questo recente documento sulla insufficienza respiratoria fatto proprio da un Accordo Stato-Regioni del 25 luglio 2019. Questo documento è stato preparato a cura del Gruppo di Lavoro GARD-Italia “Continuità assistenziale: insufficienza respiratoria” di cui Enrico ha fatto parte. Per capire cosa sia e cosa faccia GARD-Italia si può fare riferimento qui alla pagina dedicata del Ministero della Salute. Nel documento in questione il peso epidemiologico delle patologie di cui stiamo parlando e l’esigenza di approcci innovativi alla gestione complessiva delle malattie respiratorie è molto bene e molto autorevolmente chiarito. Di passaggio, GARD sta per Global Alliance Against Chronic Respiratory Diseases.
Enrico, cominciamo da questi due punti: quali sono i pazienti candidati ad una riabilitazione respiratoria e come è possibile raggrupparli in gruppi candidati a percorsi diversi?
Teoricamente tutti i pazienti affetti da patologia respiratoria specie se cronica sono candidabili alla riabilitazione respiratoria. In primo luogo, ad essere più frequentemente trattati sono sicuramente i pazienti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), asma bronchiale cronico e insufficienza respiratoria cronica in ossigeno/ventiloterapia domiciliare. Inoltre, anche i pazienti affetti da patologia interstiziale del polmone trovano ormai indicazione alla riabilitazione respiratoria e vi è forte indicazione per il trattamento riabilitativo dei pazienti prima e dopo gli interventi di chirurgia toracica. Si deve partire dal presupposto che in presenza di patologia respiratoria prima si inizia a trattare e migliori sono i risultati. Per questo a volte pazienti in fase immediatamente post-acuta già in Unità di Terapia Intensiva vengono avviati al trattamento riabilitativo.
Certamente è possibile assegnare i pazienti a seconda della valutazione iniziale a percorsi riabilitativi differenti. Questo vale sia per il setting (il livello organizzativo dove trattare) che per il progetto riabilitativo individuale che rappresenta una forma di medicina personalizzata (come trattare). Il paziente con BPCO e quello affetto da fibrosi polmonare non possono, tanto per fare un esempio, avere il medesimo trattamento. La riabilitazione respiratoria consta di più elementi (ottimizzazione della terapia farmacologica, educazione, ricondizionamento fisico, intervento nutrizionale, intervento sugli stili di vita e promozione del benessere psicologico) anche se erroneamente si tende ad identificarla con gli esercizi fisici banalmente indicati con il termine di ginnastica respiratoria.
Quali sono le sedi più idonee alla gestione di questi percorsi?
Esiste un setting ospedaliero per la riabilitazione specialistica e un setting ambulatoriale/territoriale; vi sono anche esperienze ormai consolidate di riabilitazione domiciliare. Ovviamente la differenza è rilevante. Pazienti in fase immediatamente post acuta sono generalmente indirizzati al setting ospedaliero (riabilitazione intensiva) dove possono svolgere cicli di 3-4 settimane, raramente più lunghi. Successivamente possono essere seguiti ambulatorialmente (riabilitazione estensiva) per altre settimane (la letteratura descrive come ottimali cicli di 8 settimane). Il setting ambulatoriale si è dimostrato efficace nel mantenere i risultati ottenuti. Le esperienze al domicilio non sono del tutto nuove, ma vanno aumentando viste le difficoltà di accedere a programmi ospedalieri o ambulatoriali. Alcune sono ben documentate e sono risultate efficaci.
Di quali competenze e risorse queste sedi dovrebbero disporre?
Una riabilitazione specialistica come quella respiratoria dovrebbe essere gestita nell’ambito delle competenze e professionalità tipiche della disciplina di pneumologia. La valutazione dei pazienti respiratori candidati alla riabilitazione deve essere eseguita dallo specialista pneumologo congiuntamente al fisioterapista esperto in tale settore. Non esiste, peraltro, una scuola specifica per fisioterapisti della riabilitazione respiratoria.
Poiché la riabilitazione è giustamente considerata multidisciplinare dovrebbero essere disponibili altre figure professionali come il fisiatra, lo psicologo, il nutrizionista e l’assistente sociale. Anche gli infermieri dovrebbero avere esperienza provata con tale tipologia di paziente. Un team costituito da pneumologo, fisioterapista e infermiere deve redigere il progetto riabilitativo individuale, ovviamente dopo avere valutato nel team allargato tutti gli aspetti che caratterizzano il singolo paziente loro affidato, notoriamente affetto da comorbidità. Il programma deve essere concordato con il paziente ed eventualmente con il caregiver e/o il familiare di riferimento se richiesto dal paziente o dalla situazione.
Occorrono risorse strumentali per eseguire le valutazioni richieste prima e dopo il ciclo riabilitativo fra cui quelle necessarie per la valutazione nutrizionale, quelle per gli esercizi di ricondizionamento fisico (allenamento arti inferiori e superiori, esercizi specifici per i muscoli respiratori), quelle per i corsi di educazione dei pazienti, quelle per il controllo a distanza dei pazienti e, se possibile, quelle per organizzare una attività di teleriabilitazione.
Che rapporto c’è tra questi centri e i tradizionali reparti codice 56 di riabilitazione?
Fino ad oggi i reparti di riabilitazione (quelli cosiddetti codice 56) sono quelli che si occupano di riabilitazione specialistica. Il recente documento ministeriale (non ancora approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni) sulla appropriatezza dei ricoveri in riabilitazione conferma l’appartenenza dei centri ospedalieri che si occupano di riabilitazione respiratoria al codice 56. (Nota dell’intervistatore, NdI: questo documento lo potete scaricare qui, assieme ad un commento della Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri, al cui sito vi rimanda il link).
Che rapporto c’è tra competenza pneumologica e competenza fisiatrica? Qual è la posizione del Ministero?
In più occasioni si è tentato di riportare tutta l’attività riabilitativa sotto la esclusiva competenza fisiatrica. I fisiatri sostengono che la loro specializzazione è l’unica autorizzata a gestire la riabilitazione. Per le Società Pneumologiche è invece fondamentale il pieno riconoscimento della figura dello pneumologo esperto in riabilitazione come coordinatore del gruppo multidisciplinare che deve occuparsi del recupero funzionale dei pazienti con disabilità respiratoria, di qualsiasi livello e in qualsiasi contesto o setting, ospedaliero o territoriale (NdI: il tema caldo dei “diritti di proprietà” sulla riabilitazione respiratoria come di tutte le altre riabilitazioni specialistiche a partire dalla cardiologica va affrontato laicamente definendo per ognuna di esse i relativi requisiti di organizzazione e di competenza).
Le Società scientifiche pneumologiche ritengono fondamentale che i Progetti riabilitativi individuali dei pazienti affetti da patologia respiratoria siano redatti o autorizzati dallo pneumologo. Si fa a tale proposito riferimento all’accordo fra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano sancito nel febbraio del 2011 relativo al “Piano di indirizzo per la riabilitazione”. In tale contesto, si dice testualmente: “Medico Specialista in riabilitazione: si intende un Medico con Specializzazione in Medicina fisica e riabilitativa ed equipollenti, ovvero un Medico in possesso di specialità in discipline affini per le quali ha ottenuto nel rispetto delle normative concorsuali, l'accesso professionale alla Medicina fisica e riabilitazione, ovvero un Medico chirurgo in possesso di Specialità in altre discipline che come da normativa concorsuale ha anzianità di servizio in strutture dedicate a Attività riabilitative individuate da questo documento” (fra cui, appunto, le Malattie dell’apparato respiratorio).
Nel già citato documento recente del Ministero in corso di approvazione sull’appropriatezza dei ricoveri in riabilitazione dovrebbe essere ribadita tale posizione che mantiene piena autonomia alle specializzazioni non fisiatriche. Il Ministero ha deciso comunque di effettuare un’ampia revisione della materia “riabilitazione” con nuove sottoclassificazioni del codice 56 (A-B-C) a seconda dell’ intensità dell’ intervento riabilitativo da svolgersi in ambito ospedaliero. Nel documento viene dato ampio risalto alla necessità di sviluppare un’attività territoriale di riabilitazione che riduca la necessità di degenze prolungate da riservarsi a pazienti con indicazioni ben definite. Il ruolo del territorio appare nei fatti però, a mio avviso, ancora piuttosto virtuale risentendo fra l'altro in misura determinante delle diversità esistenti fra Regione e Regione.
Quali sono le varie opzioni regionali in tema di riabilitazione respiratoria?
Attualmente vi sono importanti differenze fra le diverse Regioni. Alcune (come il Piemonte) affidano la responsabilità della riabilitazione ai fisiatri pur ammettendo la specificità delle diverse patologie e la conseguente necessità di un approccio talora superspecialistico (ad esempio nel caso di pazienti tracheo-ventilati da assistere nelle 24 ore).Gran parte delle Regioni italiane non ha reparti specificamente dedicati alla riabilitazione respiratoria, come nel caso delle Marche (NdI: vedi introduzione). Alcune hanno organizzato però Servizi ambulatoriali di riabilitazione respiratoria territoriale senza Unità di degenza (interessante l’esperienza di Matera in Basilicata).
Qual è stata l’esperienza della sede INRCA di Casatenovo e cosa insegna?
A Casatenovo, presso la sede lombarda dell’INRCA, nel 2000 parte degli 80 letti di Pneumologia sono stati convertiti in Pneumologia Riabilitativa codice 56. Nel 2005 la Regione Lombardia ha riconosciuto 32 letti di Pneumologia Riabilitativa con annessa Unità di terapia semiintensiva respiratoria di stepdown (5 letti su 32). NdI: chi ne volesse sapere di più sulla funzione di stepdown può leggere qui.
L’Unità di Pneumologia Riabilitativa di Casatenovo è dedicata alla gestione dell’insufficienza respiratoria cronica e acuta in pazienti affetti sia da patologie respiratorie che neurodegenerative (SLA in particolare). L’ Unità fa da collettore per pazienti in fase di svezzamento da ventilazione meccanica invasiva e non invasiva (provenienti da Unità di Terapia Intensiva, UTI) e per pazienti in fase di adattamento alla ventilazione meccanica non invasiva (provenienti da reparti di Medicina Interna e Medicina d’Urgenza). Mette in atto percorsi riabilitativi per pazienti complessi anche in attesa di trapianto polmonare e tratta pazienti in fase pre- e post-chirurgica prevalentemente toracica. Nel contempo ha organizzato un servizio di valutazione nutrizionale per pazienti respiratori finalizzato al recupero di alterazioni nutrizionali sia in difetto che in eccesso.
Fin dal 2000 sono state utilizzate tecniche di monitoraggio a distanza (telemedicina) per il controllo dei pazienti con insufficienza respiratoria. Dal 2011 sono state utilizzate nuove tecnologie “user friendly” come i tablet per l’implementazione dei programmi riabilitativi e per l’esecuzione di esercizi di brain training atti a migliorare lo stato cognitivo e a lavorare sugli aspetti motivazionali. Nel 2016 sono state poste le basi per la realizzazione di un Laboratorio di Realtà Virtuale proprio per modificare l’atteggiamento mentale nei confronti dell’attività riabilitativa al fine di raggiungere risultati sempre migliori.
Questa esperienza mi ha aiutato a capire come le patologie croniche siano altra cosa da quelle acute. Esse richiedono un approccio assolutamente diverso mirato ad affrontare e se possibile risolvere una serie di problematiche che affliggeranno il paziente e la sua famiglia per il resto della vita. Il paziente deve quindi ricevere non solo l’attenzione dovuta alla sua malattia, ma andrà accompagnato nel suo percorso evolutivo con tutte le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali che ne deriveranno.
C’è un rapporto tra questa attività e la presa in carico dei pazienti pneumologici cronici secondo il cosiddetto Chronic Care Model (NdI: su questo modello vi invito a leggere qui)?
La riabilitazione è parte determinante dello sviluppo dei Piani Regionali per la Cronicità (NdI: del Piano della Cronicità delle Marche abbiamo già parlato nel blog). L’ attività di empowerment e di engagement dei pazienti può essere sviluppata nei reparti riabilitativi meglio che in quelli per acuti (NdI: sul significato di quei due termini, empowerment ed engagement, vi invito a leggere qui. Fatelo e non lo rimpiangerete!). Le attività di presa in carico non possono prescindere dalla formazione dei pazienti e dei loro caregiver sia per quanto riguarda gli aspetti più strettamente inerenti la malattia sia per quelli di tipo organizzativo e per quelli che riguardano l’utilizzo delle nuove tecnologie di monitoraggio da remoto e di comunicazione. Queste attività richiedono tempo e specifica preparazione degli operatori sanitari, caratteristiche più facilmente reperibili (e costruibili) in contesti riabilitativi.
Ci sono modelli regionali di organizzazione della attività pneumologica che affrontano questi problemi secondo una logica di rete?
Non mi risulta che esistano esperienze regionali di rete riabilitativa pneumologica come pure è raro reperire sul territorio nazionale esempi di rete pneumologica che affrontino tutto quel che serve per rispondere alle necessità dei pazienti affetti da malattie respiratorie. La sfida sta nel saper organizzare nelle varie realtà modelli di rete realmente operativi. Una rete non ha come principale fine quello di redigere nuove linee guida, una rete ha il compito di rispondere alle esigenze pratiche dei pazienti, delle loro famiglie e degli operatori sanitari. I percorsi terapeutici dovrebbero essere condivisi da tutti gli operatori del settore, predeterminabili sulla base dell’intensità assistenziale che il singolo paziente richiede e sulle esigenze logistiche sue e della famiglia.
Grazie Enrico, mi pare che tu ci abbia fornito abbondante materiale su cui riflettere e lavorare senza pregiudizi e con voglia di innovare.