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E’ iniziato ieri ad Ancona il  Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER), organizzato dal Collega Oriano Mercante, responsabile della medicina riabilitativa dell’INRCA di Ancona. Ieri abbiamo parlato degli errori da evitare in una relazione ad un convegno e oggi sono andato a fare un po’ di errori (primo e più importante: ho parlato a raffica) a quel Congresso a dimostrazione  che tra il dire e il fare … Questa la scaletta utilizzata per l’intervento.

Il titolo da programma della relazione: il ruolo del privato nelle attività di riabilitazione. Ripensandoci meglio ho pensato ad un titolo diverso. Eccolo: integrazione pubblico-privato in riabilitazione: il caso della Regione Marche. Questo titolo:  

  1. limita l’analisi alle sole attività di riabilitazione, ben diverse da quelle di lungodegenza post-acuzie;
  2. inquadra il ruolo del privato dentro un unico sistema in cui c’è la componente pubblica e quella privata (contrattualizzata);
  3. esplicita che l’analisi verrà fatta con specifico riferimento alla realtà marchigiana.

Perché parlare dei privati in riabilitazione: tre buoni motivi almeno: 

  1. in un sistema a risorse finite le due componenti vanno bilanciate e se il privato è prevalente e crescente le risorse pubbliche (comprese quelle umane) sono limitate e decrescenti;
  2. perché questo equilibrio richiede una politica razionale di rapporti col privato;
  3. perché parlare del privato deve voler dire riflettere sul sistema riabilitativo nel suo complesso.

Chi vi parla è

  1. un medico pensionato (condizione che da qualche anno è un merito);
  2. un esperto di organizzazione sanitaria in virtù di circa 20 anni di attività di direzione sanitaria (tutti nelle Marche);
  3. un blogger (marchesanita.it), attività che per un semianalfabeta digitale è un bell’impegno (grazie Remo, mio amico co-blogger!).

Le due parole chiave della relazione

  1. governo: è mia convinzione che per garantire la centralità della riabilitazione in un sistema sanitario regionale occorre che sulla base di un sistema di “regole” e indicatori la offerta di servizi riabilitativi a tutti i livelli (da quello di ricovero, a quello residenziale, domiciliare ed ambulatoriale) venga programmata e valutata. E qui c’è un grosso problema di disponibilità di riferimenti che il mondo per acuti ha (Balduzzi, DM 70, in primis e Programma Nazionale Esiti);
  2. committenza: sulla base di queste scelte di governo vanno fatti gli accordi regionale e aziendali con il privato in modo da condividere obiettivi, regole e volumi.

Con una buona committenza dentro un buon governo si può garantire il massimo di copertura riabilitativa ai cittadini dentro i limiti economici in cui il Servizio Sanitario opera.

Quanto pesa il privato  in riabilitazione?

Un paio di dati (un maggior dettaglio è, tempi a parte, impedito dalla riluttanza della Regione Marche a elaborare i dati, di qualsivoglia natura): 

  1. nel rapporto SDO 2016 del Ministero della Salute il 53% dei ricoveri ordinari nei reparti di riabilitazione (dei tre codici 28, 56 e 75) è avvenuto nelle strutture private, percentuale che sale al 67,4% nelle Marche;
  2. se si tiene conto del fatto che gran parte della riabilitazione residenziale e semiresidenziale, come pure quella domiciliare e ambulatoriale complessa (ex articolo 26 per chi conosce lo slang) nelle Marche è privata si può conservativamente stimare in oltre il 70% la quota di mercato o di produzione che dir si voglia appannaggio del privato.

Il peso della storia

La spiegazione di questa specificità della riabilitazione quanto a peso del privato è, credo, abbastanza semplice. Sta nella storia di questa disciplina, almeno nella Regione Marche:

  1. qui nel 1964 
Sabina Santilli, sordocieca dall'infanzia, grazie all’aiuto di un gruppo di volontari, fonda ad Osimo la Lega del Filo d'Oro. Iniziano le prime attività dell’Associazione, il cui nome è un riferimento al "filo prezioso che unisce le persone sordocieche con il mondo esterno";
  2. qui l’attuale Santo Stefano, prima ospedale e poi centro per la cura della tubercolosi ossea, nasce negli anni ’30, a Porto Potenza Picena, grazie alla donazione di una nobile famiglia umbra, i Connestabile della Staffa;
  3. qui alla fine degli anni ’60 la struttura comincia ad occuparsi di giovani portatori di handicap. Qui al Centro Bignamini di Falconara nel 1989 la Diocesi di Ancona-Osimo affida la sua gestione alla Fondazione Don Gnocchi;
  4. salto le date ed i riferimenti per la Comunità di Capodarco, il Villaggio delle Ginestre e le altre strutture associate ARIS incluse negli accordi tra questa Associazione e la Regione Marche. Ma ci tenevo a dimostrare subito che non mi sfugge l’importanza di questo mondo privato che costituisce una formidabile risorsa della società marchigiana e non solo della sua sanità.

Il privato in riabilitazione pesa e cresce

Si è già detto che in un sistema a risorse “finite” ciò che viene attribuito in più al privato viene verosimilmente sottratto alla diretta gestione pubblica e negli anni il ruolo del privato in riabilitazione nelle Marche è fortemente aumentato. Qualche numero sugli aumenti del budget economico dei privati tra 2006 e 2018 (fonte: accordi tra Regione Marche e ARIS):

  1. incremento complessivo del budget del 26,1% (da 69,7 milioni di euro a 88,24);
  2. incremento del budget dei ricoveri ospedalieri del 39,5 % (da 14,5 milioni a 20,2);
  3. incremento del budget dei ricoveri extra-ospedalieri del 23,6% (da 36,1 a 44,6 milioni);
  4. incremento del budget per le attività diurne ed ambulatoriali del 20,8 % (da 19,4 milioni a 23,5).

Questi incrementi sono stati prevalentemente determinati da incrementi di produzione (e quindi anche di posti letto) oltre che dagli adeguamenti tariffari.

Lo stallo della riabilitazione pubblica

 Mentre la attività dei privati è in continuo aumento, quella delle strutture pubbliche è da alcuni anni ferma. Le Marche non producono, come già detto, dati al riguardo, ma confrontando i dati dei rapporti SDO 2014 con quelli 2016, mentre il numero dei ricoveri ordinari dei privati  è passato da 2887 a 3231, quello delle strutture pubbliche  è rimasto esattamente lo stesso: 1562. Queste  le possibili spiegazioni di questa situazione di stallo nella riabilitazione pubblica:

  1. il primo e più importante fattore è rappresentato dal vincolo del tetti di spesa per il personale dipendente che le regioni debbono portare alla spesa del 2004 meno l’1,4%. Alle amministrazioni regionali (e forse anche alle Aziende Sanitarie) viene più facile acquistare dal privato piuttosto che non produrre direttamente come pubblico;
  2. i privati hanno una maggiore agilità nel coprire nuove esigenze, quali si determinano ad esempio in occasione della riconversione dei piccoli ospedali. Mentre l’attivazione delle cure intermedie e della (lungodegenza) post-acuzie può avvalersi del personale medico, degli infermieri e del personale di assistenza (OSS) delle aree di degenza per acuti che vengono riconvertite, l’attivazione di aree di riabilitazione intensiva ospedaliera o anche extra-ospedaliera richiedono professionalità spesso non disponibili nel pubblico (in sostanza devi assumere nuovo personale anziché riorientare il vecchio);
  3. la riabilitazione è troppo complessa come mondo per essere facilmente compresa dai decisori, quasi sempre da quelli politici e abbastanza spesso da quelli “tecnici”. 

Il fabbisogno di riabilitazione nella popolazione aumenta

Tra i fattori che influenzano l’aumento del fabbisogno di riabilitazione nella popolazione vanno ricordati:

  1. la popolazione invecchia e la cronicità aumenta (non a caso il Congresso è dedicato a questo tema);
  2. la riabilitazione entra ormai nei PDTA di molte nuove condizioni (a solo titolo di esempio penso  alla malattia di Parkinson e alla riabilitazione pelviperineale);
  3. tutto questo Congresso è una dimostrazione di quanto si stia allargando lo spettro degli degli strumenti anche tecnologici a disposizione della medicina riabilitativa (robotica, teleriabilitazione, interventistica riabilitativa).

Se poi, come nel caso delle Marche, c’è anche un saldo di  mobilità passiva per i ricoveri nei reparti di  riabilitazione (nel 2016 un terzo dei ricoveri riabilitativi dei marchigiani è avvenuto fuori Regione) il bisogno di riabilitazione cresce ulteriormente.

Bisogni che aumentano e offerta pubblica che non cresce parallelamente vuol dire automaticamente spazi crescenti per i privati.

La crescita del privato è di per sé un problema?

Una domanda sorge a questo punto spontanea: che problema c’è allora se il privato cresce? Evitando approcci ideologici del tipo “il privato in sanità guadagna sui bisogni primari dei cittadini e quindi va ridimensionato”, cerchiamo di vedere in modo razionale se ci sono criticità significative in questa forte prevalenza del privato in continua espansione nell’area della riabilitazione. Privato che oltretutto in quest’area presenta una storia e delle caratteristiche assolutamente peculiari.

Sgombriamo subito il campo: la risposta alla domanda è no.

Il privato:

  1. spesso presenta una grande efficienza (avere le attività riabilitative in strutture tutte riabilitative certamente aiuta);
  2. può essere i(di conseguenza) in alcune situazioni conveniente.
  3. lavora di regola sulla base degli stessi principi metodologici e degli stessi riferimenti scientifici della medicina riabilitativa delle strutture pubbliche;
  4. fornisce molto spesso contributi di assoluto livello in termini di innovazione e di ricerca.

Quando la crescita del privato può diventare un problema?

Quando negli accordi regionali e nella loro applicazione a livello Aziendale:

  1. non vi siano indicatori di appropriatezza per tutte le tipologie (circa 20 nelle Marche) di erogazione della attività riabilitativa riconosciute ai privati;
  2. non si presidia adeguatamente la costruzione delle tariffe (evitando tra l’altro disomogeneità di trattamento tra strutture pubbliche e strutture private  e di far pagare alla Regione eventuali differenze con la tariffa unica usata per la mobilità sanitaria);
  3. si predeterminino con dei budget rigidi vincoli alla possibilità di scelta da parte delle Aziende dei modelli di erogazione delle attività più appropriati attraverso anche in termini di convenienza (scegliendo per alcune casistiche, ad esempio, il livello domiciliare piuttosto che di ricovero o utilizzando personale dipendente o ricorrendo alle cooperative per l’erogazione di prestazioni che il privato eroga sotto forma di prestazioni complesse multi-professionali ad alto costo).

Il privato diventa un potenziale problema anche quando … 

  1. non si riesce a integrare le attività per acuti (di area ortopedica, neurologica, cardiologica, pneumologica, ecc) concentrate nelle strutture pubbliche con quelle riabilitative concentrate nelle strutture private;
  2. non si riesce nel pubblico a causa delle scarse risorse interne a far crescere la cultura, la pratica e la ricerca riabilitative;
  3. chi gestisce gli accordi regionali con i privati e la loro declinazione a livello di Azienda Territoriale non ha specifica competenza e capacità contrattuale.

Domandona che lascio senza riposta (ma andrebbe trovata)

Perché le Marche hanno contemporaneamente una elevata mobilità passiva per le attività di riabilitazione in regime di ricovero e una forte prevalenza come erogatore del privato?

Fervorino finale (take home message)

Il problema non è il peso del privato, ma il mancato governo del suo contributo e, più in generale, il mancato governo (regionale) dell’offerta riabilitativa.

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