Non vi è alcun dubbio che la politica sanitaria regionale abbia bisogno di un forte supporto da parte dei tecnici. Vi sono infiniti aspetti dell’organizzazione sanitaria che hanno bisogno di un impulso/regolamentazione da parte del livello regionale. Come è altrettanto vero che l’azione regionale per assolvere a questo ruolo ha bisogno di un sostanziale contributo dei tecnici: di quelli che lavorano facendo assistenza e/o ricerca sul campo. Se i due mondi non si parlano o si parlano poco e male la qualità complessiva dell’assistenza ne risente.
Facciamo alcuni esempi più volte citati in questo blog: il Piano Regionale Cronicità e il Piano Regionale Demenze. Far uscire queste progettualità da un contesto puramente enunciativo (faremo, si dovrebbe fare …) occorre una alleanza tra livello politico e livello tecnico che coinvolga anche (il ciclo così sarebbe chiuso) i cittadini e chi li rappresenta.
Perché non sfruttare allora i convegni come occasione di stimolo e supporto alla politica regionale?
Oggi non è certamente così. Per esperienza diretta e per racconti più volte sentiti la presenza regionale (quando c’è e questo non avviene sempre, anzi) nella maggioranza dei casi si limita ai saluti iniziali presto seguiti da un rapido allontanamento dalla sede del Convegno preceduto però dalle fatidiche parole “Mi dispiace davvero, ma purtroppo non mi posso fermare perché altri impegni istituzionali mi portano a …”.
Proviamo a ragionare in modo diverso.
I convegni sono la testimonianza di un impegno culturale e professionale da parte di chi lo organizza e di chi ci partecipa. Se ben organizzati sono una formidabile occasione di fare il punto su un tema rilevante. Tanto è vero che spesso si concludono con la sezione “Take home messages”: cosa ci portiamo a casa dopo questa iniziativa?
Spesso ci si può portare a casa molto non solo da un punto di vista tecnico in senso stretto (quello che interessa più direttamente i professionisti coinvolti), ma anche dal punto di vista di chi ha responsabilità decisionali a livello regionale e (non dimentichiamocene) aziendale. E allora niente saluti frettolosi o di circostanza all’inizio o alla fine, ma rendiamo abituale un terzo tempo. Questo nel rugby è il momento di socializzazione delle due squadre che dopo esserle suonate di santa ragione per i due tempi in campo poi vanno al pub assieme.
Torniamo ai nostri convegni. Il terzo tempo può essere quello in cui il documento di sintesi di quanto emerso nei lavori tecnici viene offerto al confronto con il livello decisionale. Questo, se concordato prima, può essere un modo per legare i momenti di confronto tecnico con altri momenti di confronto con chi ha responsabilità decisionali ad un livello più alto. Se poi il terzo tempo si svolge direttamente in sede congressuale ancora meglio.
Tutto questo mi è venuto in mente l’altro giorno girando per l’Ospedale di Torrette (in Ancona lo chiamiamo così) e guardando le bacheche con le locandine dei Convegni. E, come sempre, ho visto iniziative interessantissime da un punto di vista di politica sanitaria. Una è rappresentata da un meeting della SINdem Marche che si terrà il prossimo 22 novembre su “Demenze … conoscerle per prevenirle” e un altro che si è tenuto lo scorso 26 ottobre dal titolo ”Il lavoro del Trauma Team: perché faccia la differenza”.
Ma questi sono solo due dei tanti possibili esempi di occasioni di studio e confronto tra tecnici con potenziali ricadute di sistema regionale importantissime. Questa energia che il mondo professionale della sanità esprime va utilizzata e l’utilizzo di un terzo tempo in aggiunta alle più tradizionali forme di supporto come la concessione del patrocinio e la presenza al momento dei saluti potrebbe offrire importanti opportunità. E far sentire i livelli operativi e quelli decisionali vicini pur facendo parte di squadre inevitabilmente in parte diverse. Due maglie, ma un unico sport.
Per rimanere nel discorso dello sport, perché la Regione non gioca qualche partita inserendo in squadra una società scientifica?
A solo titolo di esempio (se ne potrebbero fare moltissimi altri) la Card (Confederazione Associazioni Regionali di Distretto) è una società scientifica delle attività Sociosanitarie Territoriali molto attiva in Italia e nelle Marche sui temi della cronicità, temi su cui le Marche registrano un grave ritardo. Sempre a titolo di esempio un recente Convegno della CARD Toscana è stato organizzato su questo tema con il patrocinio e la partecipazione dell’ARS di quella Regione.
O la Regione Marche pensa che i servizi distrettuali (in pratica metà dei LEA) si possano regolamentare e programmare senza il contributo di chi nei distretti ci lavora?