In un bell’editoriale recente de Il Sole 24 ORE (ovviamente bello per me), passatomi da un amico via Whatsapp, Sergio Fabbrini utilizza a un certo punto una espressione che mi ha colpito a proposito dell’atteggiamento di alcuni politici italiani per i quali “la politica è una attività sociale che non richiede competenza”. E ciò giustifica prese di posizione grottesche su temi certo non secondari come i dazi, i clandestini, l’abolizione di alcune tasse, l’uscita dall’euro, e così via. Prosegue Fabbrini, e qui ci avviciniamo al mondo della sanità che più ci interessa: “Nessuno di noi andrebbe a farsi operare da un chirurgo che non sa quello che fa (anche se è tifoso della nostra squadra del cuore). Come è possibile affidare il governo della cosa pubblica a chi non sa di cosa parla?”.
Questa idea della politica come attività sociale che richiede competenza mi ha convinto. E questo vale in modo evidentissimo per la sanità (tema già trattato qui nel post su Politica sanitaria o sanità politica, La sai la differenza tra politica sanitaria e sanità politica?).
Ieri abbiamo parlato qui delle criticità della sanità marchigiana e delle linee strategiche che potrebbero aiutare ad affrontarle (Il gioco del 15 della sanità marchigiana. Ovvero: criticità e prospettive strategiche del Servizio Sanitario Regionale delle Marche). A prescindere dalla condivisione di dettaglio di quanto riportato, l’articolo evidenzia una situazione sicuramente degna di essere affrontata con scelte fatte con competenza e un fortissimo supporto tecnico. Perchè le questioni in gioco sono, appunto, complesse e articolate.
La politica ha dunque bisogno di essere competente e per questo ha tra i suoi strumenti la scelta dei dirigenti e quella dei consulenti. Nel giro di pochi mesi abbiamo assistito prima alle dimissioni di Franco Di Stanislao (Le dimissioni del prof. Di Stanislao: coll’avvocato Agnelli non sarebbe successo!) e poi a quelle di Alberto Balducci. Queste ultime non hanno avuto, almeno ancora, spazio negli organi di informazione locali.
Ad Alberto Balducci (imparo dall’albo online dei consulenti della Regione Marche in cui ci sono contratti e curricula) era stato affidato il compito di affrontare due questioni non da poco: l’analisi del sistema dei costi e dei centri di spesa e l’elaborazione di linee guida per ottenere efficienza ed efficacia del sistema sanitario. Essendo la sanità regionale un sistema con un fatturato di 3 miliardi euro l’anno e con tra 15000 e 20000 dipendenti (il numero adesso non ce l’ho sotto mano!) era stata ritenuta utile l’esperienza di Balducci, già in passato consulente della Regione, che tra le altre cose è stato Direttore Generale del gruppo SIR Rumianca con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione (3,200 miliardi di lire di indebitamento, 192 società e 25.000 dipendenti diretti ed indiretti). Tutte cose – ripeto -che ho imparato dal sito della Regione.
Le motivazioni alla base delle due dimissioni sono in fondo le stesse: la consapevolezza di non riuscire a fare la parte per cui si era stati chiamati. Conoscendo molto bene entrambi i dimissionari, immagino il travaglio dietro quelle scelte e, di conseguenza, dimensioni e natura degli ostacoli che hanno trovato.
Poi leggo ieri, con qualche giorno di ritardo, sul Corriere Adriatico di lunedì 5 febbraio che un terzo consulente, Floriano Bonifazi, notissimo allergologo, minaccia le dimissioni perché non vuole essere complice di una politica che non decide e non tutela la salute dei cittadini. Il suo è un riferimento ad una tematica molto specifica e cioè il ritardo nella approvazione di un Progetto Inquinamento Ancona per ridurre l’impatto delle polveri sottili. Se pure specifico il problema non è piccolo: nell’articolo si legge che “Ancona, per la Organizzazione Mondiale della Sanità, sarebbe completamente fuorilegge”.
Sembra evidente che abbiamo un grosso problema nella sanità delle Marche quanto a rapporto tra visione della politica e visione della tecnica. Che non dovrebbero essere due visioni specie quando i tecnici è la politica a sceglierli.